:: Stupeus: La festa e la lontananza – Recensione-intervista a Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli, curatrici dell’antologia “Poeti della lontananza” (Marco Saya, 2014) a cura di Federica D’Amato

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poeti_lont_copertinaPoeti della lontananza è il titolo – felicissimo – che le critiche letterarie Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli hanno scelto per un’antologia appena pubblicata dalla Marco Saya Edizioni. Titolo felice perché evocativo non solo il piglio acustico e originario della tradizione poetica occidentale, ma nello specifico perché riferito a un’alterità che tra le pagine si fa tema e metodo: principio agglutinante la lingua d’esilio dei poeti antologizzati, e vera e propria “festa della critica” a cui Sonia ed Antonella fanno approdare il lettore con le loro ricognizioni ermeneutiche. Sette i poeti che tra queste pagine si scambiano il testimone della lontananza, in quell’”atletica dell’esilio” forgiata dal fuoco vivo del dialetto, dal fuoco calmo del ricordo. Omar Ghiani, Domenico Ingenito, Francesco Terzago, Antonio Bux, Ianus Pravo, Michele Porsia, Alessandro De Francesco declinano così una eterogenea fenomenologia dell’assenza, espressa da esperienze scrittorie certo cangianti, sebbene accomunate da un compatto principio di distanza e di straniamento. Il lavoro delle due curatrici è come una musica – severa e generosa insieme – espansa tra le correnti di testi la cui resa poetica è sicuramente felice. L’intervista che segue, oltre a rispondere alle questioni preliminari inerenti il volume, esempla anche un memorabile vademecum su quella che dovrebbe essere la critica letteraria dei nostri anni.

Qui è possibile leggere alcuni testi tratti dall’antologia e consultare le biografie degli autori

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Nel 1893 l’accademico dei Lincei Ernesto Monaci intitolava un suo intervento “Ancora di Jaufre Rudel”, quasi a lamento del tourbillon critico con cui i più fini esegeti e filologi del XIX secolo avevano tormentato il sottile canzoniere di Jaufre Rudel, a cui l’amor di lontano dava linfa e suggello. Voi [SC & AP] oggi rilanciate la questione attraverso la curatela di una antologia poetica, in uscita per i tipi delle edizioni Marco Saya, il cui titolo emblematico riattualizza i significati di quella stessa lonh dalla quale l’esperienza poetica secondo novecentesca si era ben guardata dal farvi ulteriori riferimenti. Ecco dunque che il punto di apertura a questo breve dialogo sul vostro lavoro potrebbe proprio partire da una domanda memore e provocatoria: “Ancora della lontananza?”

*Antonella Pierangeli: Ancora della lontananza? “… e quan me sui partitz de lai /remembra·m d’un’amor de lonh:…” (e quando mi sono partito di là /mi ricordo di un amor lontano)verrebbe spontaneo citare il buon vecchio adagio rudeliano dalla sempre fascinosa e intatta bellezza, per poi chiarire subito i termini della questione: il tanto tormentato amor de lohn non costituisce affatto, se non nella similarità mutatis mutandis della condizione del poeta, il solo snodo tematico dei testi che presentiamo in questa raccolta, così come la lohn cui fa riferimento il titolo dell’antologia non si configura come la nostalgica ispiratrice di irraggiungibili tristia. La maieutica forza poetante della lontananza è qui infatti intesa come meditazione amara e profondamente consapevole sulla distanza e sullo sradicamento esistenziale di autori che, per motivi forzatamente personali o contingenti alla loro realtà lavorativa, hanno vissuto la condizione di separazione dal luogo di origine. Partendo dall’analisi di questo osservatorio privilegiato della coscienza, dal quale incastonare le proprie manganelliane “paludi definitive”, i propri perfetti silenzi e clamori su di un verso straniato e eterogeneo dalle possibilità espressive dissonanti e mai disgiunte da un’accurata tessitura fonica, si è giunti ad una vera e propria epifania di quel modus sentiendi che fa, della separazione dal luogo di origine, una sorta di primo motore non immobile delle ingolfate cerniere dell’Io di questi sette diversissimi poeti, forzatamente o spontaneamente in odore di lohn. I testi qui presentati, si badi bene però, non si caricano mai della dimensione assoluta del lirismo rudeliano, incentrato su nostalgiche proiezioni del soggetto poetante; vengono invece vitalizzati alla luce della contemporaneità proprio perché, attraverso una condizione di scissione esistenziale, ogni tentativo di fuga dal reale, fisico e immaginario che sia, s’incarni per mancanza di radici nei luoghi dell’altrove geografico, esistenziale, ideologico, in un pensiero poietico che renda la distanza fisica, capacità rivelatrice di quella distanza psichica che ne costituisce il magistrale alfabeto emotivo. L’insondabile vis passionale e drammatica che domina l’ispirazione dei testi qui raccolti, unita ad una percezione randagia dell’esistenza rappresenta, dunque, il canto amarissimo, ma al tempo stesso edificante, di uno status della coscienza poetica contemporanea che potremmo chiamare di derelizione, una dolorosa forma di nostalgia per tutto quello che la vita ti costringe a perdere per via, non empiricamente rivolto verso una persona reale o una situazione esistenziale ma, per così dire, ontologico: segno di un destino inevitabile segnato dalla perdita e dallo spaesamento emozionale in un mondo che diviene un luogo sempre più inospitale e globalizzato ma in cui, comunque, è pur sempre vivificante esserci.

Se è vero che Montale, a differenza di Yeats, riusciva a respirare solo se la sua musa si teneva a debita distanza, e se è condivisibile, come scriveva Simone Weil nel suo La pesanteur et la grâce, che sia la separazione l’unica creatrice di legami, potremmo forse concludere che tutta la poesia nasca e cresca in un processo di voluto distanziamento dal desiderato. A riguardo, l’operazione di definire come “della lontananza” particolari esperienze poetiche, e così volerle racchiudere in un jewel box di primizie altrimenti non fruibili, non rischia di apparire come il tentativo di voler costruire un recinto nel mare?

*Sonia Caporossi: La letteratura, del resto, è di per sé un recinto nel mare, giacché altro non è se non la mostra del dicibile. Potrei quindi risponderti con l’ennesimo rimando, questa volta alla Yourcenar che un giorno scrisse: “non darsi più è darsi ancora: significa donare il proprio sacrificio”. Ecco, concepire la poesia come la forma suprema del donarsi, nel senso in cui recentemente ne parlava Ghislaine Lejard, è a mio parere un imperativo etico oltre che estetico. La presa di distanza dal desiderato è un processo molto simile a quello che Savinio attribuiva allo hypokritès, “colui che esamina da sotto la maschera” il reale e che attraverso il velame ottundente dell’ermeneusi riesce a dipanarne i filamenti invisibili, la p-brane impalpabile. Il gioco dei rimandi circa la “lontananza” potrebbe essere infinito! Tornando però con i piedi per terra, posso dirti in che modo l’abbiamo concepita noi per renderla spunto di composizione critica e antologica. La silloge, come diceva poco fa Antonella, offre la lettura guidata di sette poeti italiani ultracontemporanei che più semplicemente “scrivono lontani da casa”. Questo significa che il tema portante è a doppio strato: da una parte la lontananza è fisica, materiale, iperreale, cronotopica e biografica, giacché questi poeti hanno scritto i testi riportati in silloge in determinati momenti e situazioni della propria vita in cui la krisis come “separazione” era per ognuno di loro un dato di vita vissuta; d’altra parte, il tema della lontananza richiama anche l’argumentum dei componimenti poetici, e allora qui si tratta di indagare criticamente, se vogliamo, le differenti modalità attraverso cui questi sette poeti diversissimi per tenore compositivo e stile fanno resuscitare in carne e sangue un tema che sulle prime potrebbe apparire abusato.

Nelle varie anticipazioni riguardanti il volume, avete dichiarato di aver lavorato un anno a questa antologia. In cosa è consistito tale lavoro?

Antonella Pierangeli: Direi che è stato soprattutto un lavoro certosino di ermeneusi incondizionata. Un anno di frequentazione umile con la poesia che ci ha visto immerse in una preliminare scelta e conseguente decodifica dei testi (quest’ultima operazione per me, filologa, foriera di una beatitudine panica e del tutto naturale) sempre accompagnate dalla consapevolezza che all’interno di questa antologia si dovessero rendere, pur sotto la spinta unificante e vivificante della tematica cui fa riferimento il titolo, voci di poeti irriducibilmente diversi, non solo formalmente e stilisticamente. Questo elemento pregnante ha fatto in modo che la grammatica del sentire e del rammemorare, leopardianamente presente in tutti i testi scelti, seppur adagiata vicino al fuoco di un calore stoico e scettico, si dotasse di risorse proprie, rielaborasse già al disvelarsi certe sue clausole emotive, certi suoi percorsi esistenziali, e agisse attraverso di noi come un catalizzatore di energia. Ci siamo infatti trovate per mesi a selezionare, editare e collazionare testi diversissimi con un entusiasmo che aumentava man mano che il lavoro si faceva più complesso. Nel dialogo serrato con gli autori, anche questo per forza di cose gestito de lohn attraverso il miracolo della rete, si sono scardinati meccanismi creativi e costruiti, di conseguenza, sistemi interpretativi che spesso duravano lo spazio di un invio sulla stringa della posta inviata. Sulla base delle varianti d’autore e sulle nuove lezioni, arrivate a volte in tempo reale, si aggiustava il tiro, si tessevano invenzioni e disvelavano visioni ad un ritmo tale da impegnarci per settimane dietro gli incastri e le geometrie di un singolo verso. Una volta poi compiuto il lavoro di sistemazione testuale ci si è immersi nella parte più eminentemente critico-letteraria, con la redazione di un saggio introduttivo per ogni autore, passando poi, in varie fasi, alla revisione finale dei testi. In definitiva un lavoro estenuante che però ci ha dato moltissimo.

In un passo della puntuale introduzione ai testi, ci tenete a sottolineare come oggi le antologie di poeti non debbano necessariamente partire da un presupposto di omogeneità metodologica, bensì proprio dal suo contrario, dalle «eterogeneità stilistiche, formali, anagrafiche». Approfondiamo questo punto.

Sonia Caporossi: Già altrove mi chiedevo: che senso ha, per esempio, definire un poeta in base all’età anagrafica oppure in base ad una presunta poetica comune? Mi rispondevo che se si fondano gruppi poetici in base alle semplici omogeneità anagrafiche o di poetica si rischia di fare un insieme di Cantor, metafora matematica del gruppo poetico al cui interno il contenuto dilegua nella polvere di un’indistinzione recata malauguratamente proprio dall’eccessiva comunanza. L’unica cosa che conta, nelle classificazioni letterarie, è la presenza di una vera e propria poetica differenziale, facendo emergere innanzitutto il textus di contro al nomen, e il verso del poeta di contro al gruppo. Ecco in cosa consiste la centralità del textus propugnata da Critica Impura come uno dei suoi mantra costitutivi. Solo attraverso un percorso metodologico e critico di questo tipo ci rende conto poi del passaggio successivo, ovvero del fatto che le classificazioni di genere e specie in letteratura lasciano criticamente il tempo che trovano, e sono buone solo ad una sommaria normatività funzionale (utili per esempio ad una scuola concepita come palestra di scrittura). Nel caso dei Poeti della lontananza, la profonda eterogeneità formale dei poeti antologizzati risponde ad una impostazione metodologica ben precisa: se si compone un’antologia che verte su un tema, dotata peraltro di un marcato apparato critico, è su di esso che bisogna far girare il kosmos nucleare del testo, e non sul nome degli autori o, peggio, su questioni di lana caprina sociologica totalmente estranei, a ben vedere, alle questioni poetiche ed estetiche propriamente dette. L’eterogeneità stilistica e formale è anzi addirittura auspicata per cercare di rendere exempla variegati di come lo stesso tema possa essere dipanato attraverso le interpretazioni artistiche di personalità e sensibilità diverse; ed è proprio quello che abbiamo cercato di fare. Certo, l’antologia non è onnicomprensiva, non vi sono contenuti “tutti” i poeti della lontananza o “tutti” i poeti italiani che vivono o scrivono o hanno scritto all’estero in condizioni di “lontananza” ideale. Ne mancano diversi che col senno di poi avremmo potuto inserire; ma poi il lavoro non sarebbe più finito, in un rimando continuo che l’avrebbe reso un oggetto dell’iperuranio di Platone. Abbiamo quindi preferito mostrare exempla differenti del tema attraverso gli ottimi autori chiamati in causa, piuttosto che tentarne un’irrealizzabile cosmografia: che è poi il motivo per cui le antologie non potranno mai e poi mai essere “totali” se non nella pre-sunzione del curatore illuso. Ecco allora a voi Omar Ghiani, Domenico Ingenito, Francesco Terzago, Antonio Bux, Ianus Pravo, Michele Porsia, Alessandro De Francesco. Nell’antologia la lontananza viene interpretata attraverso molteplici atteggiamenti poetici possibili: dal neolirismo alla poesia di ricerca.

In un altro luogo introduttivo scrivete come la «meditazione della distanza» coagulata nei versi dei vostri poeti, abbia «valenza civile». Pensiamo a Pasolini, o è un suggerimento ermeneutico?

Antonella Pierangeli: Si capisce che, alle prese con una silloge del genere, le citazioni e i rinvii potrebbero moltiplicarsi all’infinito, Pasolini fra tutti, se parliamo di poesia civile; tuttavia è fondamentale osservare, invece, che la valenza civile di una simile meditazione della distanza, in un tempo come il nostro in cui la tecnica trionfante è tutta all’insegna dell’eliminazione della distanza stessa, sia rintracciabile proprio nel significato che i nostri autori danno a queste meditazioni sul mondo disgregato in cui giocoforza, tutti, siamo dispersi prima ancora di esserne avvolti. L’azione poetica infatti si caratterizza innanzitutto come capacità di chiamare all’esistenza qualcosa che, generata da un assoluto caos di differenze (destini, condizioni esistenziali ed emotive altre, differenze stilistiche e formali) dia conto di una forza assoluta che, abolendo le distanze fra gli individui e mettendo a soqquadro l’ordine storico, teorico e poetico consolidato, sia in grado di porre la pluralità di una poetica differenziale come condizione stessa della libertà. Poesia civile dunque? Se intendiamo qualcosa che non è più poesia lontana dalla realtà ma forza cogente fortemente permeata di presente e piano sequenza del nostro costituirci, poeticamente e pasolinianamente, parte civile nei confronti del mondo, certo! L’etica della lontananza intesa come disperata ricerca di una via di fuga dalla desertificazione feroce della coscienza, bruciando il tempo e lo spazio ci scaraventa infatti in un desolato osservatorio interstiziale, una sorta di infra politico di arendtiana memoria, dal quale solo la poesia che si fa forza incomprimibile, incancellabile, inscalfibile può trarci in salvo. È proprio in quell’infra contemporaneo e scalpitante, che mette in comunicazione ma nel contempo separa, che questa raccolta si situa: in una traccia visibile di libertà necessaria. Poetica, stilistica, civile? Tutte e tre le cose insieme. Vediamola così: una parete su cui arrampicarsi in solitaria come fosse l’ultimo baluardo da scalare contro la barbarie. In questo senso la valenza civile di tale raccolta costituisce la corda più viva dell’essere poetico di questi testi, la consunzione transeunte di quell’invettiva di grande semplicità e forza evocativa che è da sempre la poesia.

Perché poeti della lontananza e non dalla lontananza?

Sonia Caporossi: Perché, come ho già detto, la lontananza è l’argumentum, il fine, non certo il mezzo, nonostante rappresenti anche il moto da luogo, nel senso che questi poeti scrivono anche “lontani da casa”. Tuttavia preferiamo che siano detti “poeti della lontananza” e non “dalla lontananza” perché, appunto, la lontananza è il tema, e il tema è il centro, è l’onfalos, il polo magnetico, il punto di richiamo, l’empireo attorno a cui vorticano le stelle fisse nell’orbe della poesia di questi autori, alcuni fra i migliori versificatori che le italiche sponde possano oggi offrire: la liricità feroce e la carnalità devastante di Ghiani e Ingenito, i versi narrativi di Terzago a metà fra lirismo e poesia civile, la forza concettuale della poesia meditativa di Bux, il neodecadentismo nichilista di Pravo, lo sperimentalismo formale e contenutistico di Porsia, la ricerca metagenere della poesia di De Francesco a metà fra poematica e cinematica, sono tutti stili e attitudini diverse attraverso cui si dipana il medesimo tema: questi poeti che pure provengono dalla lontananza, vivono la lontananza, appartengono alla lontananza, sono poeti della lontananza perché essa li pervade esistenzialmente e matericamente avvolgendoli in una sindone estetica di nitore assoluto.

Qual è la direzione che questo libro intende seguire e soprattutto far seguire al pubblico della poesia?

Sonia Caporossi: Si parla tanto, oggi, di crisi della poesia presso i lettori; si dice spesso che i lettori non si avvicinino più ad essa, che non la sentano più propria, che si è creata una distanza, uno stacco fra l’arte contemporanea e la poesia in particolare (specie quella di ricerca, come scrivevo già qui ) e i propri legittimi, secolari ma stanchi ed avvizziti fruitori. Per questo motivo, fra gli addetti ai lavori è diffusa la convinzione che la forma antologica sia un’arma nelle mani degli autori e degli editori che possa riavvicinare alla poesia un pubblico da troppo tempo in fuga: si mettono insieme vari autori, spesso anche nuovi o poco conosciuti, più frequentemente di gran nome, e li si propone in libreria. Come dicevo prima, infatti, oggi è tutto un proliferare di antologie sviluppate per il tramite di un quid in comune, a volte persino molto vago, a volte meno: l’età anagrafica, una seppur vaga poetica in comune, la militanza all’interno di un gruppo, l’appartenenza a un secolo, a una corrente letteraria o altro. A mio parere, c’è appunto l’errore di fondo della “polvere di Cantor” alla base di questa impostazione. Ma per ovviare come si può fare? Noi abbiamo cercato di tornare alla apparentemente vetusta ma sempre funzionale impostazione “per tema”: in questo modo, il lettore che scovi questa silloge fra gli scaffali di una libreria o nei meandri della Rete potrà facilmente interessarsi o disinteressarsi all’argomento, ricercarlo, indagarlo, penetrarlo per il tramite dei versi, delle vive parole di poeti che solo attraverso il tema, e non invece dopo o incidentalmente rispetto ad esso, imparerà a conoscere. A noi sembra una piccola battaglia vinta in direzione del ritorno alla centralità del textus di contro alla attuale, abusata e fallace centralità del nomen: che si tornino a leggere testi, non nomi! Vedremo se quest’antologia potrà tornare a creare un filone in questo senso, ai posteri l’ardua sentenza.

Quali reazioni vi aspettate?

Antonella Pierangeli: Attraverso questa antologia, come ha detto Sonia, si è voluto lanciare un messaggio di natura prevalentemente critica nei confronti delle monolitiche impostazioni metodologiche attualmente utilizzate per il montaggio delle antologie poetiche di autori ultracontemporanei. Tanto è vero che gli autori qui presenti non sono affatto accomunati come spesso accade da un’età anagrafica, né da una poetica e da uno stile che li raggruppi in senso stretto. Abbiamo infatti cercato, partendo sempre dall’eterogeneità stilistica e formale come elemento unificante della raccolta, di creare una nuova modalità di approccio alla poesia che anche un lettore non completamente affogato nella palude classificatoria ed ermeneutica del “critico laureato” potrà apprezzare: sette voci che provengono da sette vite che raccontano in sette modi diversi un lontano/vicino dialogo col mondo. Questa silloge e il suo cantare sono tutte qui. Un segmento percorribile in molteplici sensi di marcia, paradigmatico ma mai esaustivo. Piuttosto il luogo da cui partire per avventurarsi nel nuovo senza mai perdere del tutto la fiducia nel vecchio. La reazione che ci aspettiamo è soprattutto quella dell’attenzione e della curiosità nei confronti di un’operazione culturale che si prospetta fortemente innovativa. Poi tutto è perfettibile e assolutamente non pretende di essere onnicomprensivo. Anzi, coloro che pensano di trovare una definitiva sistemazione dell’argumentum saranno fortemente delusi. Naturalmente i poeti della lontananza non sono tutti qui e il nostro è soltanto un tentativo di disseminazione verso il cerchio del pensabile e del vivibile, o meglio del pensabile perché vivibile, poeticamente s’intende. Proponiamo soltanto un limite da trasgredire; in quale direzione? Ti dirò soltanto quello che ci auguriamo: che leggendo questa raccolta si possa restare annodati in una traccia traslucida nella memoria come una scia dubitosa: nella città delle perplesse interrogazioni che declinano la lontananza, sentirsi sempre più vicini all’indecifrabile che abbiamo dentro.

È, quella della lingua, una questione tuttora centrale della storia poetico-letteraria italiana, o ci siamo ormai definitivamente disancorati anche dall’idea di “questione linguistica” e “canone”?

Sonia Caporossi: Sulla questione del canone ho dibattuto recentemente, interpellata da Giacomo Raccis, in un’inchiesta critica per La Balena Bianca. Già lì scrivevo che il problema è evidentemente di natura metodologica: partendo dal presupposto che un canone letterario di autori viventi non è mai in funzione del domani, ma dell’oggi, e dal dato di fatto che un canone è sempre frutto di una parzialità, ovverossia di una posizione critica assunta apoditticamente, tant’è che un canone potrebbe non risultare parziale solo se fosse onnicomprensivo, cosa in natura impossibile, “ecco perché un canone davvero serio”, scrivevo, “in realtà è un’operazione che diventa irreale, intrinsecamente letteraria, borgesiana […] come se volessimo disegnare una carta geografica del globo che ricopre interamente la sua superficie, l’operazione diventa non solo inutile e disagevole, ma perde anche la propria istanza teleologica. A ciò aggiungiamo che il canone è principio autoescludente, perché ci sono generi e stili che rimangono “fuori” per forza di cose” (La critica nella terra della prosa, su La Balena Bianca, rivista di cultura militante, 16/07/2014 ). Di conseguenza, il concetto di canone è oggigiorno sinceramente abusato o, quantomeno, mal posto; al contrario, secondo me, della lingua, che in poesia, a ben vedere, è l’oggetto ermeneutico fondante. Pensiamo ai propri passaggi fondamentali: da Dante a Pietro Bembo, da Trissino a Manzoni, da Verga a Pasolini, a Gadda fino alle recenti sperimentazioni linguistiche di Gian Maria Annovi, la questione della lingua specialmente in poesia coincide strettamente con la questione della forma, e se la forma, in poesia, a sua volta coincide col contenuto rappresentando il tì estìn dell’atto poietico stesso, va da sé che l’unica impostazione in cui può risultare abusata è se continuiamo a concepirla come una mera questione di sociologia della letteratura: facciamola tornare alla propria istanza primigenia, estetica, sfrondandola da ciò che altrove ho chiamato “tutto ciò che ci gira intorno”. Noi di Critica Impura, quantomeno, operiamo così: purificando ovunque la parola letteraria da quegli orpelli che col tempo gli sono stati costruttivisticamente appiccicati addosso e facendola tornare alla purezza della propria impurezza. La “festa” e la “forza” di quest’ossimoro, in definitiva, è il nostro metodo.

*Sonia Caporossi (Tivoli, 1973) è docente, musicista, musicologa, scrittrice, poetessa, critico letterario; si occupa inoltre attivamente di estetica filosofica e filosofia del linguaggio.

*Antonella Pierangeli (Roma, 1964) è docente, scrittrice, filologa, saggista, critico letterario. Ha insegnato lingua italiana presso il Dipartimento di Studi Romanzi dell’Università di Utrecht e svolto seminari su Anne Sexton presso il Dipartimento Vrouwen Studies del medesimo ateneo.

Insieme hanno fondato e attualmente dirigono il portale CRITICA IMPURA, dove è possibile leggere le loro biografie complete.

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Al fine di rendere più accurato l’approfondimento su questo lavoro, mi sono rivolta anche Marco Saya, poeta ed editore.

In qualità di editore di poesia, cosa si aspetta da un’antologia e, nel caso specifico, a chi intende rivolgersi, chi è il suo lettore ideale?

Quando si parla di Antologie poetiche il più delle volte si è abbastanza scettici per tanti motivi: disomogeneità degli autori proposti, le solite nicchie autoreferenziali che presentano solo i “loro” poeti o i 200 autori inseriti a caso a cui si chiedono dei contributi, potrei continuare per ore. Poeti della lontananza è un’opera, ritengo, unica nel suo impianto, contraddistinta da un’omogenea caratterizzazione e univocità degli autori coinvolti in una ricerca e direzione stilistica e di scrittura ben precisa. Molto semplicemente potrei dire che il target a cui è rivolta l’opera è il lettore che ama la buona poesia, che ha sete di conoscenza per quello che attiene l’evoluzione e il futuro della poesia contemporanea vista da importanti autori italiani residenti all’estero. Più in generale quando si parla di poesia contemporanea mi riferisco sia a una scrittura/percorso di ricerca sia ad un linguaggio che rispecchi e si compenetri con il nostro tempo/presente. È vero che la poesia è un mercato di nicchia ma è anche vero che lettura di “nicchia” è spesso la solita lettura dei soliti lettori che si scambiano le figurine/libro tra i soliti autori. Si tratta, appunto, di ribaltare questa visione con nuovi stimoli di lettura che siano fuori dai cori e non intonati con essi. È evidente che sarà, poi, il tempo a decretare se la scelta sarà stata efficace per far cambiare un giudizio spesso aprioristico e omologato sul presente della poesia contemporanea in Italia. Dunque il mio lettore ideale è quello che accetta questa sfida, di non adagiarsi passivamente a una lettura “coveristica” della poesia ma che intenda intraprendere un percorso di ricerca in sintonia con gli autori proposti in questa particolare e direi, unica, antologia.

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4 Risposte to “:: Stupeus: La festa e la lontananza – Recensione-intervista a Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli, curatrici dell’antologia “Poeti della lontananza” (Marco Saya, 2014) a cura di Federica D’Amato”

  1. poesiaoggi Says:

    L’ha ribloggato su poesiaoggi.

  2. “Poeti della lontananza” su Liberi di scrivere | effeffedi Says:

    […] portale Liberi di scrivere recensisco Poeti della Lontananza (Marco Saya Edizioni, 2014), intervistando lungamente le […]

  3. Viviana Says:

    delucidante e bella intervista bravi!

  4. Critica Impura Says:

    L’ha ribloggato su Critica Impura.

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