:: Recensione di Stoner di John Williams (Fazi 2012) a cura di Giulietta Iannone

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Stoner non aveva mai pensato a come potesse apparire agli occhi di un estraneo, o del mondo. Per un momento si immaginò dal di fuori: quel che vide in parte corrispondeva alle parole di Edith. Scorse una figura in volo tra i pettegolezzi di una sala fumatori e le pagine di un romanzo di appendice, un patetico individuo prossimo alla mezz’età, incompreso dalla moglie, che nella speranza di trovare l’energia di un tempo frequentava una ragazza più fresca di lui, scimmiottando goffamente la giovinezza che non poteva più avere. Un fatuo, chiassoso pagliaccio di cui il mondo rideva con imbarazzo, pietà e disgusto. Contemplò quella figura, più da vicino possibile, ma più la guardava, meno gli sembrava familiare. Non era se stesso che vedeva, e all’improvviso capì che non vedeva nessuno.  

Il destino dei libri è strano: possono passare inosservati pur essendo capolavori, possono vivere uno stato di eterna giovinezza ristampati in continuazione anno dopo anno con il successo dell’esordio, o possono venire stampati per poi essere per lungo tempo dimenticati e infine risorgere dalle proprie ceneri come un’araba fenice guadagnandosi l’attenzione e l’amore incondizionato del pubblico e della critica unita nell’osannarli in un susseguirsi quasi iperbolico di aggettivi che toccano tutte le sfumature possibili del meraviglioso. Quest’ultima sorte, forse la più insolita, è toccata a Stoner di John Edward Williams. Pubblicato per la prima volta nel 1965 dalla Viking Press, ne esistono ancora esemplari vintage in circolazione, dimenticato per lunghissimi anni e poi riscoperto nel giugno del 2006 dalla New York Review Books, Stoner merita senza dubbio un posto di rilievo tra i libri segnati da un destino bizzarro, libri che forse ignorati al tempo in cui furono scritti perché troppo innovativi, troppo “altri”, trovano la loro giusta collocazione in un futuro forse non migliore ma semplicemente adatto ad ospitarli. Data l’aura di eccezionalità che caratterizza questo libro, che ora la Fazi pubblica, con postfazione di Peter Cameron e traduzione di Stefano Tummolini, mi sembra doveroso spendere due parole sull’autore. John Edward Williams nacque il  29 Agosto del 1922, in Texas,  per la precisione a Clarksville, comunità rurale nel nord est del paese. Dopo esperienze varie nei giornali e nelle stazioni radio, e dopo un infelice tentativo al college,  si arruolò nel 1942 nell’Army Air Corps combattendo durante la guerra come sergente in India e Birmania. Proprio in questo periodo scrisse la prima bozza del suo primo romanzo Nothing But the Night che verrà poi pubblicato nel 1948. Iscritto all’Università di Denver,  si laureò alternando allo studio anche la sua attività di poeta. Nel 1950 si trasferì alla University of Missouri dove insegnò e ottenne un dottorato di ricerca. Nell’autunno del l955 Williams assunse la direzione del programma di scrittura creativa presso l’Università di Denver. Da questo momento in poi pubblicò diversi romanzi: Crossing Butcher nel 1960, poi Stoner nel 1965 e Augustus nel 1973 romanzo che gli valse il prestigioso National Book Award. Dopo il pensionamento nel 1985 si ritirò con la moglie a Fayetteville, Arkansas, dove morì il 3 marzo 1994 per insufficienza respiratoria, lasciando il suo quinto romanzo The Sleep of Reason incompiuto. Fatta un po’ di luce sull’autore passiamo al romanzo. William Stoner, Bill per gli amici,  protagonista, eroe, antieroe, ombra che passa nella vita senza voler disturbare e senza lasciare alcuna traccia, nasce nel 1891 “in una piccola fattoria al centro del Missouri, vicino a Booneville”. Il padre, un povero contadino sfiancato dal lavoro dei campi, con le mani che raccolgono nelle pieghe della pelle strie di terra che non andrà più via, decide di mandarlo alla facoltà di Agraria dell’Università di Columbia perché impari a far fruttare quella terra sempre più arida e sempre più improduttiva ogni anno che passa. Stoner accetta senza tanto entusiasmo ma durante un corso proforma di letteratura inglese capisce che è quello che vuole studiare e senza dire niente ai suoi genitori cambia corso di studi, si laurea e inizia a insegnare. La sua vita da questo momento inizia a scorrere lenta e costellata da un infinita serie di piccoli drammi e delusioni: i suoi genitori diventano per lui estranei, si sposa infelicemente, ha una figlia, la sua carriera, caratterizzata da un senso continuo di inadeguatezza, verrà ostacolata da un collega che non lo stima granché. Poi un amore per una studiosa nasce e finisce per paura dello scandalo riportandolo a vivere la sua solitaria condizione di reietto. Muore nel 1956 non superando mai il grado di ricercatore e “pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi serbarono di lui un ricordo nitido”.  Ecco in breve la trama di questo strano romanzo, probabilmente autobiografico, che scorre come un lungo fiume tranquillo nel quale solo ogni tanto qualche sasso rimbalza creando onde concentriche che subito si spengono. Non ci sono eventi rilevanti, è tutto un susseguirsi di piccoli avvenimenti senza importanza che accadono intorno al protagonista, essenzialmente malato di solitudine. Sua unica ambizione è “essere felice di tanto in tanto”, suo unico desiderio è essere lasciato tranquillo, in pace. La sua mitezza, la sua incapacità di difendersi e di lottare in un mondo freddo e spietato, acquistano quasi un valore simbolico, mitico, un’epicità che non ha nulla a che fare con il grande sogno americano. Una malinconia scura e grumosa avvolge le pagine e non si capisce se l’autore nutra amore o meno per il suo personaggio. Pur tuttavia ci si affeziona Stoner, lo si vorrebbe come amico, si prova un’intima comunanza, un’ universale fratellanza con quest’uomo fragile e ostinatamente buono. Infondo c’è qualcosa di Stoner in ognuno di noi.

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3 Risposte to “:: Recensione di Stoner di John Williams (Fazi 2012) a cura di Giulietta Iannone”

  1. ilreditonga Says:

    Ho finito di leggere ieri questo romanzo, che mi era stato consigliato e prestato da un amico.
    Era tanto tempo che non leggevo un libro così bello, è una sensazione molto profonda che non ricordo da quanto tempo non provavo.
    Non voglio neanche scendere in particolari sul perché e il percome, dico solo che è un libro da leggere, da rileggere e da far leggere. Dentro c’è la vita.
    Adesso appena capito in una libreria, cerco di comprarne due copie, una ne terrò, sperando di poterlo rileggere e una ne farò girare tra i miei amici.
    Ecco, la sensazione predominante è il dispiacere che sia finito e che piano piano dimenticherò anche questo libro come sto dimenticando tutti gli altri.
    Ciao

  2. Viviana Says:

    caro ilreditonga ho letto anche io Stoner e mi ha colpito e condivido il suo-tuo o vostro pensiero, perché l’autore dimostra quanto la più semplice delle esistenze umane possa essere straordinaria

  3. Luana Neri Says:

    lo sto leggendo col desiderio di andare avanti e col rimpianto di finirlo. Non succede niente di straordinario in questo libro. Straordinaria è la figura di Stoner,eroico antieroe,che non perde mai la sua umanità e il suo rispetto per la vita.

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