:: Un’ intervista a Salvo Barone a cura di Viviana Filippini

by

Ciao Salvo e benvenuto nel blog Liberidiscrivere per questa chiacchierata sul tuo ultimo lavoro Una giustizia più sopportabile pubblicato dalla Todaro Editore. Facciamo due chiacchiere e accompagniamo il lettore nella storia.

Chi ti ha ispirato il personaggio di Efisio Sorigu?

Il personaggio l’avevo già in testa: normodotato e proprio per questo atipico. Sufficientemente refrattario ad assimilare passivamente molte regole di funzionamento che la società di oggi spesso impone. Insomma, Efisio Sorigu pur non essendo un rivoluzionario che vuole cambiare il mondo è uno che, nei fatti, non si accontenta. E la differenza sta proprio qui: oggi troppa gente dice che non va bene ma poi nei fatti…

Tu sei siciliano, ma hai vissuto in Sardegna e a Como. Quanto c’è di te in Efisio Sorigu?

Efisio Sorigu potrebbe essere il frutto genetico di queste esperienze. L’elaborazione di un prototipo d’uomo non legato ai luoghi fisicamente ma condizionato piuttosto dall’influenza che questi hanno avuto nella sua vita.

Come hai scoperto il fatto storico che ti ha dato l’imput per Una giustizia più sopportabile?

Avevo iniziato una ricerca sull’uccisione di don Renzo Beretta, parroco di  Ponte Chiasso, avvenuta per mano di un extracomunitario. Perché quello era il mondo che volevo indagare. Mi interessava approfondire l’analisi del passato e poi lo sviluppo delle vite dei migranti. Nella società contemporanea la struttura relazionale che viene valorizzata intorno a un migrante è di tipo economico/produttivo: si prende in considerazione il presente e  quello che ti può dare in futuro. Per questo motivo, penso, l’integrazione è ancora più difficile da realizzarsi. E poi mi sono imbattuto nell’articolo del Corriere della Sera, ancora più drammatico, che parlava dei profughi del Kosovo all’epoca della guerra dei Balcani.

Perché ambientare il tuo secondo romanzo a Como, raccontando quello che è Sorigu prima del suo trasferimento a Milano?

Como era la città giusta: provinciale e al tempo stesso di frontiera. Il luogo ideale dove ambientare una storia “privata” che sa di normalità ma che ha ripercussioni “globali”. Per quanto riguarda invece la consecutio temporum con l’indagine precedente, quella delle Regole del formicaio (storia tra l’altro attualissima malgrado l’abbia scritta tre anni fa), ho fatto un passo indietro per far conoscere al lettore il passato di Efisio Sorigu. Vedi? Anche in questo caso il passato che torna di moda, e non solo per i migranti.

A fianco di Sorigu c’è Stefano La Duca, il suo amico bancario. Quanto è importante il suo contributo alle indagini?

Con Stefano La Duca ho voluto dare al lettore un punto di osservazione diverso rispetto a quello più professionale coltivato dall’investigatore, e inoltre, a Efisio Sorigu, un mentore. Penso ci volesse, per introdurre nel romanzo una chiave di lettura da uomo comune. In questo senso Stefano La Duca potrebbe essere ognuno dei lettori.

Sorigu è uomo del Sud, come vede il mondo del Nord dove vive?

Ti dicevo, Sorigu non è un uomo legato allo stereotipo dello Ius Loci: non è il luogo in cui si nasce che comanda le scelte di vita. Influenza di più il coacervo di esperienze che si maturano nella vita stessa. Quindi Efisio Sorigu vedrà il Nord senza pregiudizi, con curiosità e con l’illusione che a influenzare i comportamenti di un uomo con sia la sua carta d’identità ma piuttosto i principi e l’educazione che ha ricevuto.

Efisio Sorigu è un commissario solitario, ha una pseudo relazione, lavora molto e in lui convivono in lotta perenne la  ragione e il sentimento. Quanto è influenzato il suo lavoro da questi sentimenti?

Lui deve essere un melanconico perché la vita che vede scorrere non può sollecitare sentimenti troppo entusiasti e la ragione gli suggerisce che c’è poco da fare per fare funzionare questo mondo benedetto. Per giunta avendo a che fare con il crimine è come se partisse sconfitto in partenza.

Come reagisce la piccola località comasca alla scoperta dell’omicidio della rispettabile signora Minghetti?

Penso come tante volte vediamo nei servizi televisivi quando viene intervistato il vicino di casa dell’autore di una strage, o di un omicidio: … sembrava una persona così a modo…

I sospetti ricadono su stranieri – il principale indiziato è il giardiniere kosovaro -, quanto è ancora radicato nel nostro mondo il pregiudizio e la paura verso il diverso da noi?

Il sospetto e la prudenza verso la novità/diversità è un sentimento tutto sommato naturale, il problema è che questa resistenza si trasforma spesso in pregiudizio e intolleranza. Penso si tratti di ignoranza: è un problema di pura e semplice cultura e conoscenza.

Il comportamento ambiguo della donna vittima cosa rappresenta?

Quello che dicevo prima: la doppiezza tra comportamenti dichiarati e comportamenti poi agiti nella realtà. Nella società di oggi questa incoerenza raggiunge livelli patologici e mina la tenuta e la sostenibilità della crescita non solo economica ma anche morale.

La legge è uguale per tutti, ma non tutti sono uguali davanti alla legge. Potresti spiegare meglio questa frase che viene usata nel libro?

Questa riflessione è figlia delle ineguaglianze. Le leggi, in quanto summa di regole alle quali un individuo deve uniformarsi, devono essere uguali per tutti. Non potrebbe essere altrimenti. Ma poi siamo del tutto certi che il metro di valutazione di coloro che queste leggi applicano sia effettivamente uguale per tutti?

Perché per titolo hai scelto Una giustizia più sopportabile e cosa la rende tale?

La giustizia, appunto, dovrebbe essere semplicemente giusta: è quello che chiedono le vittime e i parenti delle vittime quando si va a processo. Soltanto che la giustizia è anche pena, condanna, per chi la subisce. Sempre più frequentemente si predilige una lettura di tipo “econometrico” rispetto alle sanzioni erogate. Il tema della condanna risarcitoria è sempre più esteso anche a reati non solo amministrativi. Ecco perché ho voluto abbinare le due parole: sopportabile si dice di un dolore o di un fastidio. La giustizia a mio avviso non può essere misurata.

Quali sono i modelli letterari presenti e passati ai quali ti ispiri?

Oddio, posso dirti cosa mi piace. L’ispirazione non sono così sicuro di averla e soprattutto di riuscire a trasformarla in prosa. Mi piace il giallo di matrice europea e non quello americano, proprio perché ci trovo l’analisi di temi sociali che oltre oceano non fanno cassetta. Leggo volentieri Markaris la Doody,  la Bartlett e Mankell. Tra gli italiani Carlotto, De Cataldo, Carofiglio, Camilleri e Fois al quale invidio la capacità narrativa e poetica. Fuori dal giallo il più bel libro dell’ultimo anno è senza dubbio Accabadora di Michela Murgia.

Sei già al lavoro per una nuova avventura con protagonista Sorigu? Se sì di cosa si tratterà?

Sì, la storia c’è già e conto molto sulle prossime vacanze estive per portarmi verso la conclusione. Posso dirti che ritroveremo Efisio Sorigu alle prese con la Milano inquietante della criminalità organizzata.

2 Risposte to “:: Un’ intervista a Salvo Barone a cura di Viviana Filippini”

  1. Salvo Barone su liberidiscrivere | Todaro Editore Says:

    […] ne intervista l’autore: https://liberidiscrivereblog.wordpress.com/2012/05/28/un-intervista-a-salvo-barone-a-cura-di-viviana-… […]

  2. Salvo Barone su liberidiscrivere | Todaro editore Says:

    […] qui l’intervista all’autore. […]

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.